IL PRIMATO DELL’ASCOLTO

Nonostante nel nostro tempo ci sia un primato dell’occhio, della visione, dell’immagine, la Bibbia e il mondo semitico hanno sempre privilegiato l’udito rispetto alla vista. Dio incontra l’uomo, gli si manifesta specialmente attraverso la Parola. Il Dio dell’Antico Testamento è per definizione l’Invisibile, Colui che l’uomo non può vedere in faccia, non può raffigurare, farsene un’immagine.
A Mosè che gli chiede di poter vedere la sua gloria, Dio risponde: “Tu non potrai vedere il mio volto. Nessuno può vedermi e restare vivo”. Potrà solo vederlo di spalle (cfr Es 33, 20). Ma se Dio è l’Invisibile, l’uomo può tuttavia udirne la Parola.
La fede biblica è fondata sulla Rivelazione di Dio. La Dei Verbum afferma al capitolo primo: “[Questa Rivelazione avviene] attraverso eventi e parole intimamente connessi”. Dio interviene o agisce nella storia dell’uomo e spiega il senso del suo intervento. Dio parla all’uomo, lo chiama a un rapporto di comunione, di vita con sé e per questo diviene di primaria importanza da parte nostra l’ascoltare.

La Bibbia: l’ascolto della Parola
Per la Bibbia, il vero credente è quindi la persona che si apre all’ascolto, che accoglie questa Parola e poi risponde: c’è un coinvolgimento, una risposta a questo invito.
Paolo dice alla comunità cristiana di Roma che la fede nasce dall’ascolto (cfr Rm 10,16). Nel Vangelo la voce di Dio che si fa udire nella Trasfigurazione di Gesti comanda: “Ascoltatelo!” (Mt 17,5). Perché la sua è Parola di vita, Parola di verità, Parola di salvezza.
Se la fede nasce dall’ascolto, allora il pericolo più grave per noi diventa il non ascoltare, il non avere come primaria metodologia di vita cristiana l’ascolto. Sottolineiamo al riguardo l’insistenza del Salmo 94 che la Chiesa invita a recitare ogni mattina nella Liturgia delle Ore: “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il vostro cuore” (Sal 94,8).
Questa importanza prioritaria dell’ascolto è ribadita da Gesù nell’episodio dell’incontro con Marta e Maria. Maria, seduta ai piedi Gesù, ascolta le sue parole. Si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta. Questa parte che non ci verrà tolta è proprio l’ascolto, perché esso è l’inizio di un cammino quotidiano in cui, mentre si interiorizza la Parola, si interiorizza Dio stesso. E noi sappiamo che alla fine Dio sarà tutto in tutti. Quindi l’ascolto è un processo di assimilazione di Dio, è un processo di divinizzazione. Ciò avviene perché la Parola - certo, va prestata la necessaria attenzione a non farne una magia - ha una sua carica intrinseca, una peculiare efficacia che la Scrittura stessa ci mostra in più sfaccettature e prospettive.

1. È una Parola creatrice, da cui dipende la conservazione stessa del mondo, come ce la presenta il Salmo 39.
2. È una Parola salvifica capace di risanare, rinnovare l’uomo: “La tua parola, o Signore, che tutto risana” (Sap 16,12).
3. È una Parola fedele, veritiera, perché Dio non può mutare: “La tua parola, Signore, è stabile come il cielo” (Sal 118, 89).
4. È una Parola che è vicina: “Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca, è nel tuo cuore” (Dt 30,14). Fa da luce e guida nella tua vita: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118,105).
5. Oppure, rifacendoci al testo di Is 55,10, “come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra”, così è della Parola: c’è veramente una fecondità assicurata.

Il Vangelo paragona la Parola al seme che il contadino getta nel solco della terra: sia di notte che di giorno, che egli vegli o dorma, il seme germoglia e cresce (cfr Mc 4,27). La Lettera agli Ebrei la paragona a una spada a doppio taglio, capace di penetrare a fondo, di mettere a nudo la coscienza dell’uomo, di svelarne i pensieri (cfr Eb 4,12).

La Parola di Dio, proprio perché è rivolta alla persona e perché a essa fa appello come a un essere intelligente e libero, non fa violenza alla nostra libertà, né agisce in modo magico, cioè senza un nostro attivo coinvolgimento, ma richiede delle condizioni, delle disposizioni da parte nostra.
Tutto questo è già stato messo in evidenza da Gesù stesso nella parabola del seminatore, che egli interpreta per i discepoli spiegando loro come il seme produce frutti differenti a seconda della qualità del terreno su cui è gettato (cfr Mc 4,13 ss).
Quindi diventa molto importante il “come” si ascolta, il come si prepara ad accogliere il seme fecondo della Parola quel “terreno” che è il nostro cuore e la nostra mente.

Educarci all’ascolto
Quali sono queste disposizioni perché la Parola possa risanarci, rinnovarci?
1. Una prima disposizione è che l’ascolto non sia semplicemente esteriore, superficiale, ma anche interiore, profondo. Molte volte la Parola scivola via; l’ascolto superficiale può produrre solo qualche emozione momentanea, passeggera.
2. Una seconda disposizione dell’animo fa sì che l’ascolto non sia semplicemente teorico, mentale, intellettuale, ma anche pratico, che si traduca nella vita, diventi testimonianza coerente. Il pericolo di un ascolto a livello soltanto teorico è quello di un’adesione verbalistica, velleitaria. Non basta ascoltare, direbbe l’apostolo Giacomo, non è sufficiente conoscere la Parola, bisogna anche viverla: “Siate quelli che mettono in pratica la Parola, non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi” (Gc 1, 22).
3. Un’altra disposizione è che sia un ascolto non selettivo, non riduttivo della Parola, ma rispettoso della sua integrità, della sua purezza. Tante volte mutiliamo questa Parola, accogliamo solo ciò che ci aggrada, oppure si apre la Bibbia a caso e leggiamo dove capita. Può anche essere vero che il Signore ci voglia dire una certa cosa, però ci deve essere un rispetto della Scrittura, del disegno che si dispiega in ogni libro: aprire a caso mi sembra poco rispettoso.

La Bibbia stessa accompagna e assiste questa nostra educazione all’ascolto: in essa noi troviamo dei casi esemplari di reale ascolto della Parola con queste disposizioni, con questa disponibilità, con questa obbedienza alla Parola.
Emblematico è il caso di Samuele che, ancora giovane, nel cuore della notte, sente una voce che lo chiama per nome. All’inizio non la riconosce come voce di Dio, riesce a farlo grazie al sacerdote Eli che l’invita a rispondere: “Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3,9). E il libro dirà che Samuele acquistò grande autorità di profeta presso il suo popolo perché non lasciò andare a vuoto una sola delle parole di Dio (cfr 1 Sam 3,19).
Un altro episodio paradigmatico è quello della conversione di san Paolo, fulminato sulla via di Damasco. Paolo sente una voce: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Cosa risponde a questa domanda? “Chi sei, Signore?” (At 9, 4-5). Con queste parole è come se dicesse: ti ascolto, sono a ma disposizione. E il persecutore Saulo, sotto l’azione di questa parola accolta, diventerà Paolo l’apostolo dei pagani, il testimone fedele di Cristo.
E come non citare Maria, la madre di Gesù, che Luca ci presenta come la donna dell’ascolto, dell’accoglienza, della contemplazione della Parola di Dio, a cominciare dalla risposta che dà all’angelo: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Da quanto abbiamo detto sull’importanza dell’ascolto della Parola, deriva il bisogno di educarci all’ascolto. Un’educazione sempre necessaria, forse ancora più urgente oggi, in questo tempo che ci è dato e che ci chiama a confrontarci con la pseudo-civiltà dell’immagine, del computer, di internet.
Immagini che ci bombardano e ci sommergono; le parole e i messaggi più diversi si moltiplicano e si sovrappongono, rendono più difficile un discernimento. Il ritmo vorticoso della vita ci coglie spazio, tempo, rende sempre più arduo questo ascolto, a scapito della nostra fede.

In questa situazione si sente il bisogno di promuovere una pastorale di ascolto, di creare anche una liturgia che possa effettivamente essere occasione di ascolto profondo e vivo.

Come si impara ad ascoltare?
Che cosa favorisce e sviluppa questa capacità? Mi sembra di poter indicare alcuni punti.
1. In primo luogo dovremmo riservare un posto privilegiato al silenzio, alla concentrazione, allo stare con se stessi, sia riscoprendone il valore e la preziosità, sia praticandoli concretamente. Penso che Dio faccia fatica a entrare nel nostro cuore nel frastuono; affaccendati e distratti come siamo, anche se sentiamo non ascoltiamo veramente. Per cui, nonostante tutto, non bisogna temere, non bisogna aver paura del silenzio. Occorre trovare momenti, spazi di meditazione, anche durante il lavoro. Caterina da Siena, per esempio, parlava della sua “cella interiore”.
2. Ci si educa all’ascolto anche prendendo coscienza del bisogno che si ha di imparare. Tutti abbiamo bisogno di essere ammaestrati da Dio ogni giorno: chi crede di sapere non è aperto all’ascolto, e nemmeno al dialogo.
3. È necessario coltivare poi la purezza del cuore, cioè la libertà interiore. Quanti piccoli attaccamenti abbiamo! A volte sono cose molto banali quelle che ci portano via un sacco di tempo. Se il nostro cuore non è sgombro, ma è ripieno di questi attaccamenti, di questi piccoli idoli, non siamo in situazione seria di ascolto. Essi sono le “spine” della parabola che finiscono per soffocare il seme germogliato dalla Parola, impedendone la maturazione, la fruttificazione.
4. Ci si educa all’ascolto attraverso un’umile pazienza. Dare spazio e tempo da innamorati della Parola, lasciandola veramente lavorare nel cuore; e sapere anche accettare la propria debolezza, la propria sconfitta, ma senza venir meno a questo impegno.