SONO FORSE IO IL CUSTODE DI MIO FRATELLO?

 

Lectio Magistralis del Cardinale Walter Kasper

 

Martedi 4 ottobre 2016– Basilica Santa Maria Maggiore

 

[MOLTE FEDI SOTTO LO STESSO CIELO – ACLI Bergamo]

 

 

 

 

 

La Bibbia nel suo racconto della storia primordiale dell`umanità, ci racconta il dramma del conflitto fra i due figli di Adamo ed Eva, fra Caino e Abele. Caino per invidia e per odio a causa della religione uccise il suo fratello Abele. Dopo questo primo omicidio, seguito in poi da molti altri, Dio domandò Caino “Dov’è Abele, tuo fratello?” Caino rispose:”Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,9). Questa storia si ripete anche in nostri giorni. Siamo oggigiorno testimoni di innumerabili omicidi e al contempo di una crescente indifferenza sulla sorte dei nostri fratelli. Non solo gli omicidi, anche questa indifferenza sta in radicale contraddicono radicalmente al messaggio della Bibbia. Papa Francesco ha chiamato questa indifferenza il paganesimo moderno. Perché la Bibbia ci dice: Dio è custode del nostri fratelli, e noi siamo e saremo domandati e giudicati se fossimo i loro custodi.

 

 

 

Con il racconto della storia primordiale dell’umanità siamo già nel mezzo del messaggio evangelico della misericordia. Perché il messaggio evangelico della misericordia si oppone all’oblio di Dio e ci dice che solo Dio è il Signore della vita e della morte, e si oppone all’individualismo, in cui ognuno senza riguardo dell’altro è il suo proprio iddio. La misericordia è la risposta cristiana al segno dei tempi, alla eruzione di una violenza inedita nel nostro mondo. Dove non c’è misericordia vivono i demoni, ha detto Dostoevskij.

 

 

 

I. Misericordia - il centro del messaggio Biblico

 

Al rovereto ardente Dio si manifestò a Mosè. “Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il suo grido…conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo” (Es 3,7 s). Dio è un Dio che vede, un Dio che sente, un Dio che conosce la miseria dei nostri fratelli e la nostra miseria; egli non è indifferente, ma un Dio che s’interessa della sorte dell’uomo, che soffre con noi, che non vuole la miseria. Dio vuole liberarci, vuole la vita.

 

 

 

Così, quando Mosè chiese: “Cosa risponderò al mio popolo quando domanderanno: Qual è il nome del Dio che ti ha mandato?” Dio si presentò con le famose misteriose parole, che spesso sono tradotte così: “Io sarò che sarò” (Es 3,14). Meglio vanno tradotte: “Io ci sarò che ci sarò.” Questa risposta va compresa come la spiegazione del suo nome, Yahweh e dice: Io sarò con voi e per voi, vi libererò dalla schiavitù e vi accompagnerò sulla vostra via attraverso il deserto. Io sono fedele, su di me potete fare affidamento sempre e in ogni situazione.” “Vi prenderò come il mio popolo e diventerò il vostro Dio” (Es 6,7).

 

 

 

Questa prima rivelazione del nome di Dio è la rivelazione della sua misericordia. Perché questo voce latina misericordia dice: Dio ha un cuore (cor) per i miseri. Dio non è indifferente, ma si lascia toccare e muovere dalla nostra miseria. Dio è compassionevole. Per la Bibbia il cuore non è solo il centro più intimo dell’uomo, la sede delle sue emozioni, ma anche della volontà, della determinazione e della coscienza. Perciò misericordia dice sì, compassione, ma non solo compassione come sentimento pure passivo, misericordia dice anche determinazione a aiutare. Misericordia è una virtù attiva, che combatte la miseria e il male.

 

 

 

Ancora più forte è il riferimento alla parola ebraica per misericordia, rachamim, che significa le viscere. Così misericordia vuole dire, che Dio nel suo intimo, nelle sue viscere ha un rapporto viscerale con gli uomini. Di più, rachamim è derivata da rechem, l’utero materno. Così rachamim è un attributo materno. Dio è come una madre, che porta il suo bambino nel suo seno, nel suo utero e poi nelle sue bracci, che custodisce e carezza il suo bambino. Così la misericordia esprime tutta la tenerezza e l’amore, con cui Dio si comporta con noi.

 

Nella seconda e terza rivelazione a Mosè Dio esplicita ciò che ha implicitamente manifestato nella sua prima rivelazione al rovereto ardente. Nella seconda Dio dice a Mosè: “A chi voglio fare grazia e di chi voglio avere misericordia, avrò misericordia” (Es 33,19). Misericordia, dunque, non è espressione di un compiacimento debole, ma di sovranità, di libertà, di indipendenza e di signoria. Essa esprima il suo essere divino. Un terzo aspetto occorre nella terza rivelazione a Mosè: “JHWH è un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6). Adesso misericordia non è solo espressione della sovranità e della libertà, ma anche della fedeltà (emet) di Dio. A Lui possiamo affidarci in ogni situazione.

 

 

 

Nell’Antico Testamento, soprattutto nei Salmi la affermazione della terza rivelazione è sempre nuovamente ripetuta, quasi come un ritornello (Dt 4,31; Sal 86,15; 103,8; 116,5; 145,8 et altri). Possiamo dunque dire, che la misericordia è il nome del nostro Dio. Perché con il nostro nome ci presentiamo agli alteri e gli alteri si rivolgono a noi attraverso il nostro nome. Così nella rivelazione della sua misericordia Dio si presenta e si manifesta a noi e a causa della sua misericordia possiamo rivolgerci fiduciosamente a Dio. Dio si presenta come misericordioso e da noi va invocato, adorato e glorificato nella sua misericordia.

 

 

 

Il culmine di questa rivelazione si trova nel Profeta Osea, il quale non di rado è citato da Gesù a riguardo della misericordia. Nel primo capitolo del suo Libro, il profeta costata che il suo popolo è diventato infedele, è come una prostituta disonorata; l’alleanza di Dio con il suo popolo è infranta (cfr. Os 1,9): Dio non vuole essere più il suo Dio, e il popolo non è più il suo popolo. Tutto è finito. Poi, però, nel capitolo 11, avviene una svolta drammatica. Dio si spoglia della sua giustizia e prevale la sua misericordia. Il suo cuore s’intenerisce. Perché? Egli lo spiega così: “Sono Dio e non uomo” (cfr. Os 11,8 s), il che significa: La misericordia di Dio è l’espressione del suo essere Dio, del suo essere diverso, della sua sovranità, la sua sanità e della sua trascendenza assoluta Ma questa trascendenza non vuol dire assenza o lontananza dalle vicende di noi uomini, al contrario è presenza nel mezzo della miseria umana. Egli ci dà sempre di nuovo una nuova chance, un nuovo comincia-mento.

 

 

 

Sarebbe però una semplificazione e un grave fraintendimento, opinare che la misericordia sia solo un certo buonismo, e espressione di un Dio per così dire solo gentile e innocuo, che non prende sul serio il male e i nostri peccati. Nell’Antico come nel Nuovo, ritroviamo anche l’ira e il giudizio di Dio. La giustizia di Dio è una affermazione centrale nella Bibbia. Pertanto non si può appiattire il concetto di misericordia. La giustizia e la misericordia non sono in contraddizione, ma si completano; le due sono un aspetti della carità di Dio. Perché Dio è amore, la sua ira brucia tutto il male, che danneggia la sua creatura buona. Poiché è buono, Dio si mette contro i violenti: “Rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili” (Lc 1,32). Poiché vuole il bene, Dio resiste al male, lo combatte, ma concede anche la grazia della conversione e perdona chi si pente e chiede perdono.

 

 

 

Gesù riprende questo filo rosso del Primo Testamento e lo porta a compimento. Al centro del messaggio di Gesù sta il messaggio di Dio come abbà, Padre. Abbà è lo stesso come il nostro pappa. Abbà, esprime dunque un rapporto intimo e personale. Il più bell’esempio del messaggio del Dio misericordioso è la parabola del figlio prodigo, o meglio, la parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32). Questo padre aspetta già il suo figlio, gli va incontro, non lo critica, ma lo abbraccia, gli restituisce tutti sui suoi diritti filiali e gli prepara una grande festa. Così in cielo è una festa per ogni peccatore che si converte (cfr. Lc 15,7).

 

Con questa parabola Gesù difende il suo comportamento con i peccatori contro le accuse dei farisei. La parabola Gesù vuole dire: Come io mi comporto, così si comporta Dio. Dio è un padre misericordioso. Ci sono molte altre parabole e parole di Gesù sulla misericordia, ma già questa parabola ci mostra che Gesù non parla solo a parole, ma con i suoi gesti e il suo comportamento. Egli è la parola di Dio in persona. Chi lo vede, vede Dio (Gv 14, 9).

 

Il culmine di quest’auto-rivelazione di Dio Padre nel Figlio è l’auto-donazione del Figlio per noi e in nostra vece (Mc 10,45; Lc 22,19 par.). L’apostolo Paolo cita una inno già pre-paolino: Colui che era nella condizione di Dio non ritenne un privilegio essere nella condizione di Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini fino alla vergognosa morte di croce (Fil 2,5-8) e, risuscitato da morte, diventò il nostro grande Sacerdote che a causa sella sua kenosi, cioè il suo abbassamento, può sympathein, provare compassione con noi (Ebr 4,15) e al contempo mediante la sua morte e la sua risurrezione dai morti ci ha rigenerati per una speranza viva (Petr 1,3). Così, la croce e la risurrezione, cioè tutto il mistero pasquale è l’insuperabile rivelazione dell’insondabile mistero della ricchezza della misericordia di Dio (cfr. Ef 2,4), che è la sorgente della speranza contra ogni speranza (cfr. Rom 4,18).

 

La prima Lettera di Giovanni sintetizza il messaggio neotestamentario nella frase: “Dio è carità” (1 Gv 4,8). Poiché Dio è carità e poiché Egli è fedele a se stesso, e non può rinnegarsi (2 Tim 2,13), non può fare altro che mostrarsi misericordioso. Così le opere misericordiose nella storia della salvezza ci permettono di guardare nel cuore stesso di Dio e conoscere il suo nascosto e insondabile mistero. La misericordia è lo specchio della santissima Trinità, cioè dell’auto-donazione d’amore del Padre al Figlio nello Spirito Santo. Nella misericordia, Dio fa conoscere il suo amore che c’è da tutta l’eternità, attraverso la rivelazione della misericordia nella storia della salvezza fa conoscere il suo mistero nascosto, si fa raggiungibile; cosicché in ogni situazione possiamo chiamarlo e affidarci a Lui.

 

 

 

II. Misericordia - chiave ermeneutica del Vangelo

 

Dopo il breve sguardo sul messaggio biblico, ci bisogna intraprendere una breve riflessione sistematica. Ripartiamo di nuovo dalla rivelazione del nome di Dio al roveto ardente, dove Dio rivela se stesso come Dio che si abbassa e si fa attivamente presente nel mezzo della storia e della miseria umana. Il Nuovo Testamento oltrepassa questa concezione vetero-testamentaria dell’abbassamento divino. Dio diventa sarx (Gv 1,14), cioè carne debole, e entra in tutta la debolezza umana. Nella kenosi dell’incarnazione diventa un debole bambino nella mangiatoia. Nella kenosi sulla croce, diventò servo fino alla morte (Fil 2,5-8). Con quest’autoalienazione Dio si manifesta paradossalmente nel suo contrario, la forza nella debolezza, l’onnipotenza nell’impotenza; la sua sapienza è stoltezza agli occhi di questo mondo (cfr. 1 Cor 1,20 ss.).

 

Questa concezione kenotica di Dio è una vera rivoluzione nel concetto di Dio. Essa ci porta a una comprensione più approfondita dell’affermazione giovannea “Dio è carità“ (1Gv 4,8) ripresa e approfondita nell’Enciclica di Papa Benedetto XVI Deus caritas est (2005). L’amore non dà qualcosa, l’amore dà se stesso, esso è auto-donazione e auto-comunicazione; esso dona la più intima unione, che non toglie l’alterità dell’altro, anzi la compie e la conferma. In questo senso, la rivelazione divina non ci informa e ci comunica qualcosa, ma in essa Dio rivela e comunica se stesso (cfr. Dei verbum, 2). Così, la misericordia come espressione della carità ci rende partecipi dell’essere divino.

 

Nella sua misericordia Dio ci rende partecipi della sua natura divina (2 Petr 1,4) cosicché siamo una nuova creatura (2 Cor 5,17; Gal 5,15).

 

 

 

La misericordia di Dio con il perdono dei peccati, non toglie solo il peccato e non preserva solo dalla morte, ma dà la vita nuova, il cuore nuovo, crea un ordine nuovo, la nuova creatura. Secondo San Tomaso la giustificazione del peccatore e il perdono è l’opera più grande della creazione del cielo e della terra (S.th. I/II, 113,9; III, 43,4 ad 2). La misericordia cambia tutto, salva il mondo, guarisce le sue ferite, e ci fa una nuova creatura.

 

Si pensi al diluvio come risposta forte di Dio alla malvagità dell’umanità (cfr Gen 6,5ss), ma alla fine prevale la misericordia con la promessa di Dio di conservare l’ordine del mondo malgrado tutta la malvagità dell’uomo (cfr. Gen 8,21s). Oggi, guardando al male, alle ingiustizie, alla corruzione e ai crimini orribili nel mondo, solo la misericordia di Dio garantisce l’esistenza del mondo. Senza la misericordia, il mondo sarebbe perduto e non esisterebbe più. La misericordia dà sempre un nuovo spazio vitale e una nuova chance, una speranza viva.

 

La misericordia cambia il mondo, cambia in particolare il concetto dell’onnipotenza di Dio. Oggi molti non vogliono più parlare di Dio onnipotente, perché sembra loro una concezione oppressiva, che non lascia spazio per la libertà umana. Però, compresa in chiave di carità e di misericordia, l’onnipotenza non è una onnipotenza arbitraria o violenta, che opprime la libertà umana, ma poiché Dio nel suo agire è fedele al suo essere amore, la sua onnipotenza si manifesta nell’amare. “Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita” (Sap 11,26). Dio nel suo governo del mondo è indulgente, riguardoso, delicato, rispettoso con la sua creatura. Nella colletta della 26ª Domenica del Tempo Ordinario preghiamo: “O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono.” Tomaso d’Aquino cita questa colletta e dice: Dei omnipotentia ostenditur maxime parcendo e miserando [Manifesta al sommo la sua onnipotenza perdonando ed usando misericordia] (S.th. I, 25,3 ad 3). Per agire così, ci vuole onnipotenza. Solo con l’onnipotenza, è possibile ritrarsi e rinunciare a se stesso per dare spazio all’altro senza perdersi e abbandonarsi. Nell’auto-alienazione Dio rivela addirittura il suo essere Dio, la sua sovranità, la sua la propria identità che è amore (1 Gv 4,8).

 

 

 

Dio, nella sua misericordia, esercita la sua onnipotenza con tenerezza, con un abbraccio e una carezza. Dio non ci forza mai, ma ci corteggia con grande rispetto e con pazienza mite e lungimirante. La sua misericordia è dolce e rende dolce la vita (Tommaso, Comm. in Ps 84 n.7). Come il padre misericordioso nel Vangelo, Dio ci aspetta già, da lontano, ci lascia tempo, sempre e di nuovo sta alla porta del nostro cuore e bussa (cfr Apc 3,20). La misericordia non ha un’aria di superiorità, che opprime o forza la libertà, ma ci dà la libertà. Dio è amante della vita (Sap 11,26); non gode della morte del malvagio, ma vuole che si converta e viva (Ez 33,11). Essa provoca gioia a Dio e stupisce gli angeli. Nel cielo c’è più gioia per un solo peccatore convertito che per 99 giusti che non hanno bisogno di conversione (Lc 15,7).

 

 

 

Per concretizzare e mostrare l’importanza di questa riflessione, vorrei aggiungere due considerazioni:

 

 

 

1. Come abbiamo visto, la misericordia esprime la fedeltà di Dio a se stesso nella sua rivelazione. Fedeltà in ebraico si dice emet, il che significa al contempo fedeltà e verità. Pertanto è del tutto errato mettere in con-trasto verità e misericordia come alcuni fanno. Il Salmo 84 (85),11 nella traduzione della Vulgata dice: misericordia e veritas obviaverunt (si incontrarono). La misericordia non toglie le verità della fede, anzi le fonda e le mette sul candelabro, affinché facciano luce per tutti (cfr. Mt 515).

 

Poiché la misericordia è la sorgente per tutte le verità fondamentali: a partire dalla creazione, poi l’incarnazione, la croce e la redenzione, tutti i sacramenti e la Chiesa, sorgono della misericordia di Dio e hanno in essa la loro sorgente, la loro chiave ermeneutica, cioè vanno interpretati alla luce della misericordia. Non sono verità astratte che non ci riguardano, ma sono espressione della tenerezza misericordiosa di Dio verso di noi. Interpretate alla luce della misericordia, esse possono di nuovo brillare, diventare attraenti e convincenti. Così la misericordia ci apre la strada per la nuova evangelizzazione e ci apre il cuore per una conoscenza della fede che sia approfondita e aggiornata. La misericordia ci porta all’aggiornamento dell’annuncio del Vangelo come lieta novella.

 

 

 

2. Con la sua misericordia Dio è fedele e cioè giusto a se stesso. Dio non è legato alle nostre regole di giustizia, Egli è legato solo a se stesso e alla sua carità. San Tomaso: Deus sibi ipsi est lex (S.th. I, 21, 1 ad 2). Pertanto la misericordia di Dio è la sua giustizia. Anche qui nessun contrasto. Anzi, San Tomaso afferma: La giustizia senza misericordia è crudeltà, la miseri-cordia senza giustizia madre di ogni dissoluzione (Comm. in Mt 5). Secondo lui, la misericordia ha la precedenza sulla giustizia (S.th. I, 21,4). La misericordia ci apre gli occhi; è per così dire la lente per vedere che cosa sia vera-mente giusto in una situazione concreta e spesso complessa. Senza la misericordia la somma giustizia può diventare somma ingiustizia.

 

Da peccatori siamo ingiusti, fissati su noi stessi, egocentrici e autoreferenziali, non empatici e simpatici con gli altri. Solo tramite la misericordia di Dio siamo giustificati, cioè resi giusti, liberati dall’ossessione di noi stessi, abilitati e liberi per una vita in giustizia. La misericordia cristiana non fa di meno della giustizia puramente legale, anzi la sorpassa e la compie. Essa è la giustizia più grande (Mt 5,20), il compimento della giustizia (S.th. I, 21,3 ad 2), e quanto alle opere esterne la misericordia è summa della religione cristiana (ib. II/II 30,4 ad 2). Questa frase ci porta adesso considerare la prassi della misericordia.

 

 

 

III. Misericordia - chiave dell’esistenza cristiana

 

Il principio fondamentale della Bibbia per la vita del cristiano suona: «Essere imitatore di Dio» (Ef 5,1). Siamo chiamati a imitare Dio. In questo senso Gesù dice: «Siate perfetti sul modello di Dio» (Mt 5,48). L’evangelista Luca presenta probabilmente il testo originale: «Siate misericordiosi sul modello di Dio» (Lc 6,36). Come io son o il custode di ogni essere umano, così anche voi siate custodi di vostri fratelli e sorelle.

 

Ecco la centralità del Discorso sul Monte: «Beati i misericordiosi» (Mt 5,7). Che cosa vuole dire misericordia pratica, Gesù ci dice nella sua parabola del Buon Samaritano, divenuto proverbiale (Lc 10,25-37). L’esempio che Gesù ci dà con questo Samaritano - nel giudaismo d’allora considerato un mezzo-pagano - oltrepassa ogni obbligo di giustizia. Lui commosso da quest’ uomo povero caduto nelle mani dei briganti dimentica immediatamente tutte le sue proprie interesse legittime, si abbassa nel fango della strada, fascia le sue ferite, lo porta in un albergo e promette all’albergatore, pagare tutto che deve spendere.

 

 

 

La misericordia una virtù attiva, che fa muovere le gambe per andare incontro, muovere le mani, fa aprire anche il borsellino. La misericordia non solo vede il male e non solo ne va commossa ma combatte il male e inguanto può cambia la situazione del misero. La misericordia cambia il mondo, perché dimostra un altro mondo, diverso dal mondo degli interessi, della violenza, della competitività; essa fa splendere un almeno raggio del mondo diverso segno anticipatorio della nuova creatura, e così un segno di speranza. Le opere della misericordia corporale e spirituale sono espressione vangelo, della lieta novella per i poveri. Se la misericordia è il nome del nostro Dio, bisogna essere il nostro nome; essa è il documento d’identità di noi cristiani, l’unico documento valido che possiamo presentare.

 

 

 

La tradizione cristiana elenca sette opere di misericordia corporale e sette opere di misericordia spirituale. Alcune di queste opere sono molto attuali: dare da mangiare e bere ci chiama alla giustizia in un mondo in cui le risorse della vita sono distribuite in un modo molto ingiusto; ospitare i forestieri diventa una questione di coscienza di fronte a milioni di rifugiati, questione che oggi è un segno dei tempi; visitare i malati e gli anziani diventa sempre più importante in una società in cui conta spesso solo chi è giovane, chi è sano e forte e chi ha successo, mentre nella nostra società aumenta il numero degli anziani che spesso rimangono da soli; liberare i prigionieri significa migliorare e umanizzare la situazione dei prigionieri e impegnarsi per coloro che ingiustamente sono in prigione (prigionieri politici, prigionieri a causa della religione, per non dimenticare i cristiani perseguitati, ecc.).

 

 

 

Tutto il realismo cristiano viene alla luce quando ci rivolgiamo alle opere della misericordia spirituale. Infatti, non esiste solo la povertà materiale, ma anche la povertà culturale, quella povertà di coloro che non hanno accesso alla cultura (veniamo al problema dell’analfabetismo), la povertà relazionale, cioè la povertà di comunicazione di chi è in solitudine, non ultima la povertà spirituale, il vuoto e sempre crescente deserto interiore, la mancanza e lo smarrimento di orientamento nella vita. In questo

 

senso, le opere della misericordia spirituale diventano di nuovo molto attuali: istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, confortare gli afflitti, correggere i peccatori, perdonare chi ci ha offeso, sopportare gli antipatici (il che è la cosa più difficile), pregare per tutti.

 

Queste opere della misericordia corporale e spirituale non sostituiscono affatto l’ordine di una società giusta. L’idea di uno stato sociale, che preveda una vita umana degna dell’essere umano, è esistita sin dall’Ottocento, perché la povertà non è solo un problema individuale, ma anche, un male e una disfunzione sociale. Eppure, si devono anche riconoscere i limiti di questo nostro sistema sociale. La miseria ha molte facce e le sue forme cambiano spesso molto velocemente. Sono necessarie delle persone che percepiscano il bisogno che spesso sorge inaspettatamente, e che si lascino commuovere da esso, delle persone che abbiano occhi aperti e un cuore aperto, che si prendano a cuore gli altri e che nel caso concreto cerchino di aiutare meglio che possono. Così la misericordia è la lente, l’apri-occhio per ciò che è giusto e leale in una concreta situazione.

 

 

 

Senza la misericordia la base motivazionale per un ulteriore sviluppo della legislazione sociale si perde. L’ordine sociale non può sopravvivere senza l’iniziativa e l’impegno personale e privato nell’ambito della famiglia, del vicinato e del volontariato. Tuttavia, per fare questo ci vuole motivazione, ci vuole misericordia, ci vuole cioè un cuore (cor) per i miseri, un cuore aperto che tiene le mani aperte e mette in moto le nostre gambe per aiutare chi ha bisogno. La misericordia individuale non vuole e non può sostituire la giustizia sociale, ma può essere l’ispirazione e la motivazione a darsi da fare.

 

 

 

IV. Misericordia - architrave della prassi della Chiesa

 

La parola “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” vale anche per la prassi ecclesiale. La Chiesa come sacramento, cioè segno e strumento della grazia è anche sacramento, segno e strumento della misericordia. La critica spesso rivolta alla Chiesa, che sia non misericordiosa, ma rigorosa e escludente è la critica la più aspra. La Chiesa non deve assomigliare a un castello von le ponti levatoie chiuse, ma alla casa materna e sempre aperte ai figli e figlie, la casa aperta per tutti, per i nostrani e per gli stranieri.

 

C’è una triplice missione della chiesa: La martyria. (l’annuncio della misericordia), la leitourgia (la celebrazione della misericordia nei sacramenti, particolarmente nel sacramento della misericordia per eccellenza, il sacramento della penitenza e anche nella eucaristia, istituita “in remissione dei peccati”) e finalmente nella diakonia (l’assistenza spirituale, l’impegno caritativo e sociale della Chiesa). Secondo Papa Francesco la misericordia è l’architrave di tutta la pratica della Chiesa (Vultus misericordiae). Si vuole una pastorale dell’accompagnamento e della integrazione e non della esclusione, non del dito alzato ma del mano esteso per accompagnare e aiutare, come ci ricorda spesso Papa Francesco.

 

 

 

Tale pastorale misericordiosa non va confusa con una pseudo-misericordia, cioè con una prassi pastorale di compiacimento e di un cristianesimo light e a buon mercato, che non prende sul serio la verità e i comandamenti del Signore. Abbiamo già detto che la misericordia non sta in contrapposizione né alla verità e non ai comandamenti del Signore. Anzi, essi sono espressione della misericordia; sono la luce peri nostri piedi, ci danno orientamento nel buio della vita e si conducono alla felicità della vita e finalmente alla vita eterna. Pertanto ricordare i comandamenti è un atto di misericordia.

 

 

 

In questo contesto non posso entrare in problemi pastorali concreti e in situazioni complesse, come, ad esempio, i problemi che sono stati discussi durante i due sinodi sulla famiglia. Nel frattempo il Papa nella sua Lettera apostolica “Amoris laetitia” (2016) ha chiaramente detto, che anche in situazioni così dette irregolari, cioè in situazioni che non corrispondono o non pienamente corrispondono alle regole ecclesiali, si vuole miseri-cordia, cioè discernimento delle situazioni concrete molto diverse, accompagnamento pastorale, e passo dopo passo integrazione nella comunione ecclesiale. Solo così la Chiesa si presenta come Madre misericordiosa, la cui casa è sempre aperta ai suoi figli, una Chiesa non dai ponti levatoi chiusi ma una Chiesa dalle porte aperte.

 

 

 

V. Spiritualità degli occhi aperti

 

In questo contesto parlerò solo della spiritualità della misericordia. Oggi molti domandano: Come possiamo parlare di Dio e della misericordia di Dio nel mondo di oggi, con tanta sofferenza innocente, tanta ingiustizia, tanta malvagità e cattiveria, tanta contro-testimonianza a Dio? Dove è Dio? Come possiamo incontrare Dio in questo mondo? Queste domande non sono nuove; si trovano già nei Salmi (22,3; 42,4).

 

Una risposta teorica nel senso della teodicea tradizionale, ossia nel senso della giustificazione di Dio mi pare impossibile. La risposta non può essere teorica, ma deve essere pratica. La domanda è una sfida per la nostra misericordia. Noi dobbiamo portare almeno un raggio della misericordia divina nel buio del mondo. Solo attraverso la nostra misericordia la sua misericordia di Dio diventa credibile. La nostra misericordia è la banca di prova della nostra fede.

 

 

 

La risposta sulla domanda “Dove è Dio? si trova nel sermone di Gesù sul giudizio finale (Mt 25). Gesù dice: “Ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e voi mi avete dato da bere, ero straniero e mi avente accolto.” Poi domandano: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato, assetato, straniero?” E Gesù risponde: “In verità vi dico: Tutto che avete fatto a uno solo di questi i miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,35-40). Queste parole ci danno la risposta alla domanda: Signore, dove ti possiamo incontrare, dove te riconoscere? La risposta è: Potete incontrarmi nei poveri, negli affamati, assetati, rifugiati, e in tutti i miei fratelli e sorelle bisognosi.Questa risposta è la risposata alla domanda sulla spiritualità ovvero mistica di oggi. La parola mistica deriva dal termine greco myein, che significa chiudere gli occhi. Così lamistica tradizionalmente è un chiudere gli occhi per prendere le distanze dal mondo e concentrarsi su Dio. Tutti noi sappiamo quanto facciano bene tali giorni spirituali di ritiro e di silenzio. Ma c’è anche una forma diversa della mistica, la mistica o la spiritualità degli occhi aperti, che vede i fratelli e sorelle in miseria e riconosce in essi Gesù, che con gli occhi aperti riscopre che Dio non è né lontano né irriconoscibile nel nostro mondo. Dio ci aspetta nei nostri fratelli e sorelle.

 

 

 

I santi hanno preso sul serio questa risposta. San Benedetto scrive nella sua Regola, che i monchi devono accogliere il straniero da ospite come Cristo. San Francesco all’inizio della sua via spirituale ha incontrato un lebbroso e lo ha abbracciato, perché convinto che in lui abbracciava Gesù. Analogamente, Madre Teresa di Calcutta, all’inizio del suo sentiero di santità, trovando un moribondo per le strade di Calcutta, benché sporco e puzzolente, lo porta come un ostensorio nel suo monastero nella convinzione di portare Gesù con sé.

 

Oggi, sulla scia di questi santi la Chiesa ha cominciato una epoca ecclesiale della misericordia. Già Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d’apertura del Concilio Vaticano II disse: “Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità.” Come all’inizio del concilio Papa Giovanni XXIII ha parlato della misericordia, così Papa Paolo VI nell’ ultimo suo discorso del concilio, si è chiesto quale fosse la spiritualità del Concilio, e la sua risposta è stata: La parabola del Buon Samaritano (Lc 10,25-37). Poi Papa Giovanni Paolo II, che durante e dopo la Seconda guerra mondiale ha vissuto tutto il terrore della occupazione tedesca e della oppressione sovietica ha pubblicato la sua seconda enciclica “Dives in misericordia” (1980). Papa Benedetto XVI ha approfondito con la sua prima enciclica “Deus caritas est” (2005).

 

 

 

Così si vede: Papa Francesco sta in piena sintonia e continuità con i suoi predecessori. e il Papa emerito Benedetto nel suo libro intervista recente ha espressamente confermato questa sintonia. Pertanto: Fine con queste manovre cattive e del tutto sfondate di mettere in contrapposizione i due Papi. C’è continuità fra loro. La misericordia è il tema del concilio e della epoca postconciliare; essa è la spiritualità ovvero la mistica postconciliare.

 

Oggi abbiamo bisogno di questa spiritualità degli occhi aperti. Seppure Sigmund Freud ha detto che il comandamento di amare il proprio nemico è un comandamento assurdo perché è impossibile, dobbiamo dire: Anzi, il perdono è l’unica uscita possibile della attuale crisi. Certo, non è facile, e spesso ci vuole un lungo camino per arrivare a perdonare e amare il nemico. Però, solo la misericordia e il perdono possono rompere quel circolo vizioso secondo cui ogni ingiustizia causa vendetta e la vendetta causa nuova ingiustizia e così via. La misericordia frantuma questo circolo vizioso e permette un nuovo inizio, una nuova via comune verso il futuro. La misericordia fino al perdono del nemico non è assurdo, ma ragionevole e l’unica via per oltrepassare il passato buioe guarire le ferite del passato. Solo per mezzo della misericordia e del perdono possiamo essere operatori di pace (Mt 5,9).

 

Questa era la saggezza dei grandi politici italiani, francesi e tedeschi dopo il disastro della Seconda Guerra Mondiale; da popoli nemici sono divenuti popoli amici. Così furono fondati la pace e il futuro dell’Europa. Oggi di nuovo Europa è in una grave crisi. Speriamo che non prevalgano di nuovo l’egoismo nazionale e i risentimenti irrazionali del passato, che hanno fatto tanto male a Europa; speriamo e lavoriamo affinché la pace in Europa esista anche nel futuro per il bene dei nostri bambini e dei bambini dei nostri bambini. Oggi, la misericordia si vuole anche nei rapporti interculturali e interreligiosi. Le culture e le religioni non cristiane raggiungono oggi fra di noi. Ci sono ante ferite e lacerazioni dal passato, si vuole un healing of memories, una guarigione delle memorie e il coraggio di un nuovo cominciamento e uno slancio per il futuro. Solo la misericordia che ci fa custodi dei nostri fratelli può garantire un futuro nella pace.

 

 

 

Per concludere: La affermazione che la misericordia è il nome del nostro Dio non è solo poesia e non è solo una speculazione astratta, ma è il fondamento della nostra prassi cristiana e di una spiritualità vissuta. Essa è la risposta ai segni dei tempi. Pertanto dobbiamo augurarci che l’Anno Santo della misericordia possa essere il motore e l’anima di un rinnovamento teologico, cioè un approfondimento del concetto di Dio, che possa essere un rinnovamento spirituale e aprire i nostri occhi per riconoscere Gesù Cristo nei nostri fratelli in bisogno, e che sia un ulteriore passo sulla via della recezione del Concilio Vaticano II, cosicché la Chiesa possa meglio rispecchiare il volto della misericordia di Dio e irradiare un raggio di luce e di calore nel nostro mondo, affinché diventi un mondo più umano. Solo la misericordia può garantire la pace. Preghiamo la Vergine Maria, la Madre della misericordia, affinché interceda per noi e per la pace nel mondo.