MARIA

 

UNO SPECCHIO CHE CI FA ARROSSIRE

 

Luigi Sartori – teologo

 

 

 

La chiesa, cioè noi, sta ancora apprendendo da Maria come diventare grande nella fede, nella speranza, nella carità, nell’umiltà e nel servizio.

 

 

 

Il titolo preposto a questo articolo corrisponde a un trattatello su Maria scritto da un protestante, che è annoverato tra i padri fondatori della Riforma, Giovanni Ecolampadio (1482-1531).  Questo libretto è stato tradotto in italiano a cura dei Monfortani: «La lode di Dio in Maria» (il latino dice: «De laudando in Maria Deo»).

 

 

 

In realtà è sempre il «magnificat» che dà il tono alla teologia e all’autentica pietà mariana. Noi possiamo e dobbiamo magnificare Maria, perché ella stessa ha profetizzato: «tutte le generazioni mi proclameranno beata»; ma lei non trattiene per sé nessuna lode, tutto restituisce a Dio: «l’anima mia magnifica il Signore». Anche i fratelli non cattolici sono preoccupati solo di questo: che Dio sia sempre al primo posto, e che tutto termini veramente in lode di lui solo.

 

Nei primi secoli - oggi, forse, il paragone ci fa un po’ sorridere - i cristiani guardavano a Maria attraverso il simbolo della luna. La luce di Maria è luce riflessa; riceve e rimanda; illumina perché è illuminata. Il sole è Cristo; è Cristo la sorgente di tutto, del calore, della vita, della salvezza. Se i destinatari siamo noi, è su noi che Maria riflette, poi, la sua dignità.

 

Ecco, appunto, le due stagioni della mariologia: in un primo e lungo tempo si è guardato a Maria come a specchio della grandezza di Gesù; ora, dal concilio Vaticano Il, si guarda a Maria come a specchio in cui rimirare noi, e cioè la chiesa. Maria e Cristo, Maria e la chiesa: potremmo dividere proprio in questo modo le due stagioni: la prima ormai conclusa, l’altra appena cominciata.

 

MARIA E CRISTO

 

Fino alle soglie del Vaticano II assistiamo ad una gara... tra Gesù e Maria. Qualche poeta sportivo... parlerebbe addirittura di una sorta di meraviglioso «campionato del mondo». Non faccia ridere tale. Il Dio della rivelazione biblica è un Dio che non solo si avvicina all’uomo, ma lo provoca a contendere con lui. Israele è qualcuno «che ha lottato con Dio». La libertà di Dio non ha paura, anzi sollecita la libertà dell’uomo. Il «disegno» di salvezza, è «progetto inventato da Dio», ma «messo nelle mani dell’uomo». Il mistero dell’incarnazione sancisce tale stretto rapporto che vincola Dio all’uomo e l’uomo a Dio.

 

Gesù si presenta col doppio titolo di vero «figlio di Dio» e di vero «figlio dell’uomo». Prendiamo in considerazione il realismo del secondo titolo: «figlio dell’uomo». In concreto Gesù è vero uomo, vero figlio della nostra razza umana, perché è vero figlio di Maria. Non è solo dono di Dio; è anche autentico dono di Maria. L’amore di Dio è passato attraverso l’amore di Maria; e certamente non come l’acqua scivola lungo canali e tubature, senza chiedere nulla alla loro partecipazione; Gesù arriva a noi come espressione di un amore divino che si è mescolato con l’amore umano di Maria, senza confusione ma attingendo veramente da esso. L’acqua deve arrivare a noi pura e senza assumere ingredienti dai canali attraverso cui passa; l’amore di Dio, invece, si fa storico e concreto proprio investendo l’amore umano, accogliendo nel suo cammino verso di noi il contributo espressivo di chi egli ha chiamato a farsi suo strumento.

 

Questa è l’intuizione di fondo che ha guidato la chiesa fin dalle origini nel rapportare Gesù a Maria e Maria a Gesù. Ecco allora la celebre gara: ogni scoperta della grandezza di Gesù fu espressa anche sul registro di Maria. Il sole nella luna.

 

Gesù è vero Dio, vero figlio di Dio? (Concilio di Efeso, anno 431); allora Maria è vera «madre di Dio», «Dei genetrix - Theotòkos».

 

Gesù è stato concepito «per opera dello Spirito Santo»? Allora Maria è la «Vergine» per eccellenza.

 

Gesù è redentore, salvatore? Allora la salvezza arriva a noi attraverso Maria; lei può dirsi, «per grazia», collaboratrice della salvezza; e i titoli di corredentrice e di mediatrice, se ben intesi, potrebbero essere attribuiti a Maria.

 

Gesù è il risorto, il signore diventato «celeste» e re dell’universo? Allora Maria sarà l’assunta per eccellenza, e partecipe della regalità di Gesù.

 

Il gareggiare, «giocato» dalla fede dei cristiani, tra Gesù e Maria ha portato anche ad eccessi, e rischia sempre di far confondere due piani radicalmente diversi: quello di Dio (Gesù è vero Dio!) e quello umano (Maria è solo creatura umana). Per quanto stretti siano i legami tra Gesù e Maria sul terreno umano, resta da mantenere le distanze, che sono infinite. Soprattutto gli attributi di «corredentrice» e di «mediatrice», e loro derivati, non possono far dimenticare che solo Cristo è vero originario mediatore e redentore. I protestanti, invece, accusano la pietà cattolica di oscurare tale primato.

 

In realtà, si dovrebbe sempre esaltare il dono di Dio e la sua grazia, quando si esalta Maria, appunto la «riempita di grazia», la «gratia plena». L’orientamento che vede Cristo al centro di tutto, anzi Dio, è assolutamente determinante per ogni riflessione o pietà mariana.

 

Ma qui vorrei sottolineare (per fare un ponte verso la seconda parte della presente riflessione), l’importanza di vedere nei titoli dati a Maria una sorta di verifica dell’intenzione di Dio di far passare a noi i suoi doni e proprio per effetto della potenza di Cristo. Se Gesù è veramente dono «a noi», veramente «redentore nostro», allora bisogna pure che in noi si esprima l’affetto, il risultato, l’opera «grande» di lui. Un campione è tale... se vince il campionato. Se nessuna creatura disegnasse la realtà dell’efficacia dell’opera di Cristo, come sarebbe possibile parlare di realismo nella redenzione? Celebrare i doni fatti a Maria è, in ultima analisi, celebrare dei doni che Dio non ha soltanto «offerto» a noi, ma che intende anche veramente «realizzare» in noi

 

 

 

MARIA E LA CHIESA

 

Col Concilio Vaticano II si mette maggiormente in risalto la funzione esemplare di Maria per noi e per la chiesa. In Maria celebriamo anche i «nostri impegni». Ogni dono di Dio, infatti, diventa impegno. Nella lingua tedesca per dire «dono» si ricorre al termine «gabe», e per dire «impegno» al termine «auf-gabe»; e così «dono-impegno» diventano ancora più stretti, «gabeaufgabe». Sta dunque per cominciare un nuovo campionato? una nuova gara? Dopo il rincorrersi tra Gesù e Maria... il rincorrersi tra Maria e la chiesa? Fuori da ogni scherzo, si può dire veramente che sta cominciando una nuova stagione; anche se da sempre la chiesa si è mirata nello specchio di Maria, oggi questo impegno diventa più urgente. Al dono di Dio deve seguire la nostra risposta. Ebbene, Maria è il modello per eccellenza di questa risposta.

 

Il capitolo ottavo della «Lumen gentium» ha espresso la convinzione che solo in Maria la chiesa ha veramente conseguito la propria perfezione; come a dire che l’unica realizzazione pienamente riuscita di ciò che dovrebbe essere la chiesa è soltanto Maria.

 

Per i credenti dell’Antico Testamento il modello ideale era Abramo, il prototipo di ogni credente futuro. Ma già verso la fine dell’era neotestamentaria si scopre che un modello ancora più alto di fede è stato offerto da Maria. La fede di Maria è sintesi di ogni fede, non solo di quella d’Israele, ma anche di quella nuova, dei discepoli di Cristo. «Beata, perché hai creduto!». Maria si confonde nella folla dei discepoli che ascoltano le parole di Gesù; la scopriamo «meditabonda» e in silenzio adorante quando è testimone dei misteri della vita e della morte di Gesù. Appartiene anche al tempo della chiesa, in quanto umilmente aggregata agli apostoli nell’attesa dello Spirito Santo, dono della pentecoste. La tradizione ci parla di Maria che fino alla morte è fedele custode della memoria di Gesù accanto al discepolo Giovanni.

 

La chiesa ha diritto e dovere di specchiarsi in Maria se vuole recuperare la sua fondamentale natura di «credente», di discepola e figlia della Parola, in obbediente atteggiamento di accoglienza dei doni della grazia. Il concilio parla della chiesa impegnata a seguire la verginità di Maria, ossia la capacità di assoluta dipendenza e di totale abbandono nei confronti dell’iniziativa dello Spirito, per poterne realizzare la maternità feconda. Ma si tratta di piste appena tracciate; bisognerà faticare ancora a lungo prima di poter dire di aver conseguito dei risultati importanti. È ancora prevalente, infatti, una devozione che fa ricorrere a Maria per chiedere aiuto, e soprattutto a livello ancora individuale. La chiesa, invece, in quanto tale e nella sua globalità, sta ancora apprendendo la lezione che le viene da Maria, onde diventare grande nella fede, nella speranza, nella carità, nell’umiltà e nel servizio. Maria povera, serva, tra coloro che sono in basso e non hanno potere - come la descrive il suo «magnificat» - sta ad attendere e a sollecitare la chiesa perché faccia le stesse sue scelte, e soprattutto poi le viva.