“PADRE NOSTRO”: la preghiera del frattempo



Mancano completamente nel Padre nostro quelle espressioni che si trovano in tutte le preghiere: ti prego, ti supplico, ti lodo, ti ringrazio, ti chiedo... Le richieste del Padre nostro sono asciutte, senza preamboli, tutte all’imperativo. La preghiera si conclude, poi, senza una dossologia, cosa che sorprende. Il nome “Padre” è pronunciato una sola volta all’inizio: tutte le domande sono rivolte a lui, ma senza più chiamarlo esplicitamente. La prima parola è “Padre”, l’ultima è “il maligno”: così la preghiera termina con lo sguardo volto verso il basso, dove la minaccia del male è sempre incombente. Un modo certamente insolito, atipico, di concludere una preghiera. Così la preghiera del Padre nostro non viene conclusa da una lode o da un ringraziamento, ma resta sospesa in un pressante grido di miseria. Il fatto è che il Padre nostro è la preghiera del frattempo, non del definitivo; della domanda, non del possesso; della terra, non del cielo. Dal Padre al maligno: così si apre e si chiude il Padre nostro di Matteo: il cammino non va dal timore alla fiducia, dal basso all’alto, come abitualmente avviene, ma dalla fiducia al timore, dall’alto verso il basso. Sorprendente. Eppure in un certo senso è proprio questo il miracolo della fede, oserei dire la bellezza della fede: non cambia le situazioni che intimoriscono l’uomo, ma permette di vederle con una fiducia previa che le pone in una luce diversa.


Stile sobrio e coraggioso
Molte sono le caratteristiche del Padre nostro che potremmo sottolineare. Anzitutto la sua sobrietà, al tempo stesso severa e accogliente, senza distrazioni, come la semplicità delle linee di una cattedrale romanica. Tutto è essenziale, nessuna traccia di prolissità né inutili abbellimenti. Nessun linguaggio retorico, purtroppo frequente nelle preghiere: soltanto frasi semplici, allineate l’una accanto all’altra.
Questa essenzialità non è una qualità di superficie, ma uno stile che svela un modo di pensare e di stare davanti a Dio. È un modo, ci sembra, di grande valore poetico. E si respira l’atmosfera delle parabole e dei detti di Gesù: essenziali, puliti, insieme intensi e pungolanti. La retorica - come lo sfarzo della vita o qualsiasi altra cosa di troppo - accompagna spesso il parlare (e il vivere) dell’uomo, non quello di Dio.
Il Padre nostro è una preghiera breve ma straordinariamente pregnante. La sua è una ricca sobrietà, tanto che Tertulliano - nel suo scritto sulla preghiera (De oratione 1,6) - definisce il Padre nostro “breviarium totius evangelii”. Infatti risulta con chiarezza che si tratta di un riassunto del vangelo in due direzioni: come rivelazione di Dio e come programma di vita. La struttura accurata e la sua concisione ci convincono, poi, che il Padre nostro è una preghiera compiuta, da ripetere tale e quale nella sua brevità. Non è una sorta di canovaccio da riempire liberamente.
Il Padre nostro è poi una preghiera coraggiosa. Le sue invocazioni sono tutte espresse con verbi all’imperativo. Ha ragione la liturgia della Messa di introdurre il Padre nostro con queste parole: “Obbedienti alle parole del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire...”. Osiamo: recitare il Padre nostro è, difatti, un modo coraggioso di stare davanti a Dio. È il coraggio del figlio, non la presunzione dell’arrogante. Se il cristiano prega con tanto coraggio, con tanta dignità davanti al Padre, a testa alta, è unicamente perché si sente autorizzato dalla parola del Signore. Il suo coraggio viene dall’obbedienza alla parola del Signore. Di questo il cristiano è consapevole. Sa che si tratta di un coraggio regalato, ricevuto, non suo, non scoperto in se stesso in nome di non so quale dignità. Poggia totalmente sulla dignità di essere figli come Gesù, figli nel Figlio. E questo è un puro dono, che non si può vantare come cosa propria. Se ne può solo essere grati. Pregare il Padre con dignità e coraggio, con confidenza, è un modo di riconoscerlo Padre.

La preghiera del Figlio
Il Padre nostro è la preghiera del Signore, non soltanto perché a Lui risale, ma perché riassume i suoi pensieri, i suoi ideali, il suo modo di porsi davanti a Dio e al mondo. “Padre” dice il modo di Gesù di pensare Dio e di rivolgersi a Lui. Le prime tre invocazioni di Matteo (e le prime due di Luca) riprendono il suo annuncio, il desiderio che ha guidato la sua intera esistenza e che qui - nel Padre nostro - diventa il desiderio e la preghiera del discepolo. Le altre invocazioni offrono quella visione dell’uomo che traspare da tutte le sue parole e dalla sua stessa vita. Anche l’ordine delle invocazioni rispecchia il centro del suo pensiero: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in più” (Mt 6,33).
Si può dire, dunque, che ogni tratto del Padre nostro trova il suo corrispettivo nel comportamento di Gesù, tranne - però - la domanda del perdono. Ma è proprio così? Nella sua preghiera personale Gesù ha fatto proprie tutte le forme della preghiera dell’uomo (la lode, il ringraziamento, la domanda, persino la domanda che nasce dall’angoscia e dall’abbandono, e invoca l’aiuto per affrontare la prova), non la domanda del perdono. Gesù ha pregato come un uomo che non conosce colpa.
Tuttavia Gesù si è fatto carico del peccato degli uomini, e ha sempre perdonato, così che l’affermazione “come noi li abbiamo rimessi” trova in Lui la sua piena verità. Non ha chiesto al Padre perdono per sé, però ha chiesto perdono per gli altri, come rivelano le sue parole sulla Croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34), La direzione della domanda di Gesù non è esattamente la stessa di chi prega: “Rimetti a noi i nostri debiti”. Tuttavia non è neppure senza un qualche legame. Certo chi recita il Padre nostro chiede per sé, non soltanto per gli altri. Ma chiede anche per gli altri: “I nostri debiti”.
Secondo una certa tradizione spirituale la preghiera di domanda è la meno matura: è infatti una preghiera interessata, questo il suo torto, una preghiera “mercantile”. Completamente diversa è la preghiera della lode, nobile e disinteressata: contempla, ammira, ringrazia, senza nulla chiedere. L’immagine della preghiera di domanda è il mendicante, quella della preghiera di lode è l’incantato.
Tuttavia il Padre nostro è una preghiera di domande, di sole domande. La figura di chi lo recita, però, non è quella del mendicante, nemmeno quella del servo, ma del bambino, del figlio, in tutto dipendente dal Padre. Che altro può fare un bambino se non chiedere? Chiedere è proprio del figlio. E sapendosi figlio davanti al padre, il bambino chiede senza farsi schiavo, dipende rimanendo libero. Il Padre nostro è la preghiera dei figli, non dei servi. E nel fatto stesso di essere una preghiera di domanda si deve scorgere la profondità della relazione con Dio, non semplicemente la debolezza dell’uomo.