PERCHÉ LA FEDE
NON OPERA PIÙ MIRACOLI?
don  GIACOMO CANOBBIO


Il contesto in cui viviamo presenta tendenze radicalmente opposte relativamente ai miracoli. Da una parte nei confronti dei miracoli si mantiene una forma di scetticismo derivante da una concezione “scientifica” della realtà: i miracoli apparterrebbero a uno stadio primitivo, credulone, infantile, fiabesco, della realtà, non più sostenibile nell’attuale stato della conoscenza della natura. Se qualcosa di meraviglioso, di inaspettato, accade, lo si deve attribuire a fenomeni fisici o biologici che non conosciamo ancora, ma che tra non molto saremo in grado di conoscere. Dall’altra, soprattutto nei movimenti carismatici, i miracoli si moltiplicano. Inoltre nei processi di beatificazione e di canonizzazione si richiede, salvo rare eccezioni, uno o più miracoli che la Congregazione delle cause dei santi cerca di verificare con l’ausilio di accurate indagini di carattere medico, che esprimono un giudizio di inesplicabilità scientifica del fenomeno presentato come miracolo.
Ovvio che sullo sfondo dell’opinione “scientifica” sta una concezione almeno agnostica della realtà: Dio non c’è e se c’è non interferisce con i processi della natura. Non si è lontani dalla posizione dei secoli XVII e XVIII, secondo la quale se Dio ha posto leggi nella natura sarebbe in contraddizione con se stesso se poi le sospendesse. Questa posizione resta paradossalmente una indiretta attestazione delle condizioni affinché si possa parlare di miracolo. La condizione fondamentale per scorgere miracoli in alcuni eventi prodigiosi è la relazione con Dio che si esprime nell’invocazione, la quale suppone ovviamente la fede, e che si approfondisce grazie al prodigio che si è verificato, ora inteso come azione benevola di Dio nei confronti di persone bisognose di ri-attingere la vitalità perduta.
Nella tradizione apologetica i1 miracolo era inteso prevalentemente come segno per la fede: in forza di esso si poteva avere la prova della divinità di Gesù, poiché solo Dio può compiere miracoli, cioè interrompere il corso dei processi naturali. Nulla da eccepire su questa visione, che tuttavia coglie solo un aspetto del miracolo, quello di fenomeno esterno fonte di stupore che interroga e apre all’evidenza di una realtà trascendente. In tale visione il miracolo precede la fede, ne è la porta di ingresso. Comprensibile l’obiettivo di questa concezione: si voleva, per un verso, contrastare la negazione dei miracoli da parte dei positivisti, contingentisti, scienziati, per un altro si voleva dare una giustificazione “razionale” dell’atto di fede: chi crede non è un allocco o un ingenuo, bensì persona che ha ragioni sufficienti per dare il suo assenso allo verità soprannaturale poiché riesce a trovare la radice di fenomeni che gli scienziati non sono in grado di spiegare. La scienza infatti non riesce a spiegare alcuni fenomeni prodigiosi; l’unica spiegazione plausibile è un intervento straordinario di Dio che nella sua somma libertà sospende le leggi da lui stesso immesse nella natura. Nell’opinione comune continua a permanere questa concezione di miracolo: ogni volta che non si riesce a spiegare scientificamente qualcosa di straordinario si tratta di miracolo.
Almeno due obiezioni si pongono a questa visione: 1. Le leggi della natura sono meno fisse di quanto non si pensasse nel passato; della natura conosciamo meno di quanto non si supponga: per avvedersene basterebbe sfogliare un manuale di storia della scienza. Di conseguenza ciò che oggi non si riesce a spiegare si potrà spiegare domani, e quindi i confini dell’azione di Dio verranno sempre più spostati fino a quando saranno, ipoteticamente, non più necessari. 2. La concezione biblica di miracolo è più complessa di quella che l’apologetica ha elaborata Anzitutto la Bibbia ha una visione della natura come realtà che Dio preserva continuamente dal caos: non c’è nulla di fisso. Certo, Dio interviene con somma libertà per creare il mondo nuovo che anche gli umani desiderano e invocano. Lo si riscontra in forma particolare nell’agire di Gesù da lui collegato con l’avvento del regno di Dio (cfr per esempio Mt 12,28 // Lc 11,20). II miracolo più che interruzione delle leggi della natura è inteso come segno prodigioso che manifesta la cura di Dio per un’umanità segnata dalle spire della morte. Si sottolinea perciò la dimensione soteriologica del miracolo e l’intenzionalità rivelatoria di esso. Per questo è sempre collegato con la fede, che esso suppone e contribuisce ad alimentare orientandola nella direzione della persona di Gesù, non del fenomeno prodigioso riscontrato.
Questo peraltro resta aperto a una duplice interpretazione. Lo si vede chiaramente nei testi in cui sono incastonati i due riferimenti appena indicati: Gesù scaccia i demoni perché è amico di Beelzebul oppure perché è il procuratore del regno di Dio? Va da sé che vede il miracolo chi entra nel secondo tipo di lettura che si accompagna a una comprensione dell’agire salvifico di Gesù. Chi legge in questo modo è già credente e quindi è entrato nel novero dei “salvati” da Gesù. Lo sbocco del miracolo è la relazione salvante. Non a caso in molte circostanze coloro che hanno beneficiato dell’azione prodigiosa di Gesù si sentono dire: “la tua fede ti ha salvato”. Ovviamente salvezza è più di salute. Lo si coglie prestando attenzione al contesto nel quale l’espressione è pronunciata da Gesù: non mentre il prodigio è operato, bensì quando il/la beneficato/a ha stabilito un rapporto con Gesù stesso. Quindi fede come presupposto, contesto ed esito del miracolo.

Perché oggi la nostra fede non produce più miracoli? Se si tiene conto di quanto detto in apertura, si direbbe che la domanda non corrisponde al dato di fatto. Resta tuttavia che di fronte alle richieste di miracoli Dio non sempre risponde. Nelle situazioni di vita diminuita le persone si attenderebbero che Dio intervenga e per questo invocano a volte con insistenza. Eppure Dio non risponde. Perché? Per assenza o scarsità di fede? Eppure ci sono persone che invocano dal profondo del cuore e non ottengono quanto sperato. Perché Dio fa differenze? Nel caso, su quale base? Per rispondere a questi interrogativi si deve anzitutto precisare che non è la fede che opera miracoli, bensì Dio. La fede è l’ambiente nel quale il miracolo avviene. Inoltre si deve dire che il miracolo ha valore di segno e nessun segno coincide con tutta la realtà. Dio opera miracoli per indicare quale sia il suo intento nei confronti dell’umanità, ma questo non comporta che la condizione umana sia già definitivamente trasformata. Del resto neppure Gesù ha guarito o liberato tutti.