LA PREGHIERA TRINITARIA
DI S. FRANCESCO.

Il testo da cui parte la nostra riflessione è il Salmo VI dell’Ufficio della Passione (FF 287), che è quello previsto per l’ora di Nona:

1 O voi tutti, che passate per la via: prestate attenzione e vedete, se c’è un dolore come il mio dolore (Lam 1, 12).
2 Poiché mi hanno circondato molti cani: l’assemblea dei malvagi mi ha assediato (Sl 21, 17).
3 Essi mi hanno osservato e scrutato: si sono divisi i miei abiti e sulla mia veste hanno gettato la sorte (Sl 21, 18-19).                                                                                                                        
4 Hanno forato le mie mani e i miei piedi: e hanno contato tutte le mie ossa  (Sl 21, 17-18).
5 Hanno aperto su di me la loro bocca: come leone che afferra la preda e ruggisce  (Sl 21, 14).
6 Sono versato come acqua: e tutte le  mie ossa sono disperse                                             (Sl 21, 15).
7 E il mio cuore è diventato come cera che fonde: nel mezzo del mio ventre (Sl 21, 15).
8 La mia forza si è inaridita come un coccio: e la mia lingua si è attaccata al mio palato   (Sl 21, 16).
9 E mi diedero per cibo il fiele: e nella mia sete mi hanno abbeverato di aceto  (Sl 68, 22).
10 E mi condussero nella polvere di morte (cfr. Sl 21, 16): e hanno aggiunto dolore al dolore delle mie ferite  (Sl 68, 27).                                                                                                                            
11 Io mi addormentai e risorsi: e il mio padre santissimo mi accolse con gloria  (cfr Sl 3, 6 R).
12 Padre santo (Gv 17, 11), hai sorretto la mia mano destra e nella tua volontà mi hai guidato: e con gloria mi hai innalzato a te                                                                                               (Sl 72, 24 R).
13 Infatti, che cosa c’è per me in cielo: e che cosa ho voluto da te sulla terra? (Sl 72, 25).
14 Vedete, vedete che io sono Dio, dice il Signore: sarò esaltato tra le genti e sarò esaltato sulla terra (cfr Sl 45, 11).
15 Benedetto il Signore Dio d’Israele (Sl 71,18; Lc 1, 68), che ha riscattato la vita dei suoi servi con il proprio suo santissimo sangue: e non cadranno in fallo tutti quelli che sperano in lui                                                                                                                                      (cfr Sl 33, 23 R).
16 E sappiamo che viene: che verrà a giudicare la giustizia                                      (cfr. Sl 95, 13 R).

Il Salmo VI è chiaramente diviso in due parti,
la prima delle quali (vv. 1-10) è la preghiera di Cristo nella sua passione, e la seconda (vv. 11-16) è la sua preghiera nella risurrezione. Per la prima parte, dopo il versetto introduttivo, preso dal libro delle Lamentazioni, si utilizza soprattutto il salmo 21, quello recitato da Gesù sulla croce, che inizia dicendo “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato”: si tratta del salmo che tutta la tradizione riferisce immediatamente alla passione di Cristo.
La seconda parte del salmo (vv. 11-16) utilizza invece versetti provenienti da salmi diversi; spesso Francesco cita i salmi nella versione del Salterio Romano, che egli conosceva a memoria e che era leggermente diversa da quella della Vulgata di san Girolamo, che si è poi imposta nella liturgia.

Vogliamo fermarci su una caratteristica di questo salmo (e di parecchi altri dell’Ufficio, certamente almeno i primi sei della raccolta), che è quella di esprimere la preghiera di Cristo, rivolta al Padre soprattutto nell’ora della passione e risurrezione: l’orante di questo e di altri salmi deve infatti essere identificato in Gesù, che si rivolge a Dio con espressioni tipiche, come ad esempio: “Tu sei il santissimo Padre mio, mio re e mio Dio”  oppure con l’invocazione più volte ripetuta “Padre santo” , che ritorna anche nel nostro testo, o “Mio Padre santo” . Tali invocazioni, evidentemente, non fanno parte del testo dei salmi biblici, ma sono inserite appositamente da Francesco nei “suoi” salmi; egli cambia il testo originale, che diceva semplicemente “o Dio mio”, con queste invocazioni al Padre, che manifestano che colui che prega è il Figlio; tali inserzioni, con le quali viene mutato il testo originale, sono importanti per cogliere il senso che Francesco vuol dare a queste preghiere. L’identificazione con il Cristo che prega, poi, riemerge chiaramente in espressioni come quella del nostro salmo: “Io mi addormentai e risorsi: e il mio padre santissimo mi accolse con gloria” ; solo il Cristo risorto può dire così!

L’indicazione più significativa che ne possiamo trarre è quella di una identificazione tra la preghiera di Cristo e quella del credente: Francesco può pregare con le parole di Gesù non per una grazia speciale, ma perché la preghiera di ogni cristiano è preghiera “per Cristo, con Cristo e in Cristo”. Nel suo rapporto con Dio Francesco può dire le parole di Gesù, che prega nelle angosce della passione o nella gloria della risurrezione, perché il segreto della preghiera cristiana è quello di rivolgersi al Padre “per Cristo nostro Signore”; ogni cristiano, d’altra parte, si rivolge a Dio dicendo “Padre nostro” solo perché lo Spirito santo fa di lui una realtà sola con il Figlio Gesù.

È lo Spirito del Signore, infatti, a compiere questa identificazione del credente con Cristo, e a rendere autentica la sua preghiera. Francesco esprime questa azione dello Spirito con la frase a lui molto cara “avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione” e prega mostrando che cosa questo significa: la sua preghiera è la preghiera di Cristo, non per una grazia speciale, ma perché questa è la buona sostanza della preghiera cristiana. Francesco, che vive profondamente questa realtà della vita cristiana, formula dunque preghiere che sono, contemporaneamente, sue e di Gesù, parole sue e parole di Cristo, ormai indissolubilmente unite.

La preghiera di Francesco si rivolge al Padre, perché è la stessa preghiera del Figlio Gesù, a cui noi siamo uniti dall’azione dello Spirito: ci accorgiamo così che il riferimento alla Trinità è davvero centrale, nella preghiera di Francesco ma anche nella nostra, se vuol essere preghiera cristiana. Lo dice espressamente Francesco, nel capitolo 23 della Regola non bollata , quando si rivolge al Padre, dicendo: “E poiché tutti noi miseri e peccatori, non siamo degni di nominarti, supplici preghiamo che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio tuo diletto, nel quale ti sei compiaciuto, insieme con lo Spirito Santo Paraclito, ti renda grazie così come a te e a lui piace, per ogni cosa, Lui che ti basta sempre in tutto e per il quale a noi hai fatto cose tanto grandi. Alleluia”.

Il salmo VI, oltre a mostrarci Gesù che prega il Padre, ci conduce al centro del mistero di Cristo, che è la sua pasqua: rileviamo anche questo elemento, che però non sviluppiamo oggi nella nostra meditazione, perché lo riprenderemo più avanti.

Nella riflessione odierna abbiamo identificato un altro tratto caratteristico della spiritualità francescana, che è la sua dimensione trinitaria: essa ci invita ad assecondare l’opera dello Spirito del Signore, che ci unisce al Figlio Gesù e dunque ci permette di rivolgerci a Dio come Padre. Anche in questo caso, si tratta della buona sostanza della vita cristiana, vissuta con pienezza da Francesco ma vera, fondamentalmente, per ogni discepolo del Signore.
Fondata nel mistero trinitario, la vita cristiana apprende a vivere in modo nuovo un’esperienza del Dio di Gesù Cristo che fa della liturgia e della preghiera la celebrazione della vita, delle relazioni fraterne la continuazione permanente della lode salmica. Un’esperienza del Dio Trinità che non separa silenzio orante, impegno nel lavoro e nella società, dialogo comunitario, vincoli di amicizia, comunione con il povero, scoprendovi piuttosto il luogo di incontro con l’Amato. Un’esperienza del Dio di Gesù Cristo manifestato nel paradosso della sua Pasqua: è da questa radice che siamo condotti alla profezia del diventare minori e soggetti a ogni creatura e quindi umili servitori di tutti, capaci di dialogo con gli uomini e le donne di buona volontà.